bambino davanti a binari che si incrociano

Possiamo definire il coraggio di vivere come quell’atteggiamento di impegno nella vita per cui si affronta la felicità e il dolore, il picco di problematicità eccezionale, ma anche la piattezza routinaria della quotidianità.

Tutto questo si affronta accettando che sia implicita anche la paura e che sia richiesto da parte nostra il cambiamento.

Per spiegare meglio evidenziamo tre accostamenti: 

1)     Nel coraggio di vivere c’è anche la paura di vivere. Bisogna riconoscerla questa paura, chiamarla per nome ed integrarla. La paura vista non come qualcosa di paralizzante che ci impedisce di fare delle cose, ma come compagna di viaggio nel nostro coraggio di vivere.

2)     Momenti di eccezionalità e quotidianità. Io mi chiedo:occorre più coraggio di vivere per affrontare situazioni particolarmente difficili, dolorose, oppure occorre più coraggio di vivere per affrontare la quotidianità? Nella nostra società il coraggio è facilmente applicato a situazioni di “Rambo”, però questo “Rambo” che non ha paura del rischio è in una situazione di eccezionalità. Da bambini avevamo paura del buio, chiudevamo gli occhi e andavamo; avevamo paura dell’ignoto. Da adulti non è tanto l’ignoto, noi sappiamo molto, è il noto che ci spaventa. Sappiamo cosa vuol dire portare avanti un rapporto affettivo sentimentale un po’ appannato, con difficoltà, sappiamo cosa vuol dire impegnarci nel lavoro… sappiamo… non è ignoto… ma quanto ci spaventa quel “noto”! Posso chiarire quello che intendo per “coraggio di vivere nella quotidianità”: è quell’insieme di atteggiamenti per cui si riesce “ad illuminare il lunedì, il martedì” dico io, cioè quei giorni che non avrebbero niente al di là della pesantezza; e noi li trasfiguriamo e li rendiamo epifanici, cioè rendiamo quei giorni di festa. E’ pericolosissimo fare dei giorni fissi di festa e di non-festa, perché deleghiamo ai giorni di festa tutto quello che ci può essere di positivo e gratificante per noi. Poi ovviamente quando arriva la festa rimaniamo frustrati e delusi; non c’è mai abbastanza festa per accontentarci, dato che tutto abbiamo investito nella festa e la quotidianità invece è grigia, monotona, ripetitiva…

3)     La felicità e il dolore. Abitualmente pensiamo che ci sia coraggio di vivere quando c’è dolore. Occorre coraggio anche quando c’è felicità. Cosa vuol dire questo? Che occorre avere un’apertura nei confronti della vita; per la quale apertura si è disponibili a vivere sia il dolore che la felicità. Se noi ci difendiamo, usiamo un atteggiamento difensivo, forse riusciamo ad evitare qualche dolore, ma quanta felicità ci perdiamo!

Vorrei sottolineare altri due punti:

1) il coraggio di vivere deve implicare il coraggio del cambiamento, perché abbiamo paura del cambiamento; tuttavia si può non aver paura quando si ha abbastanza fiducia nelle proprie possibilità e nel percorso della vita che si sta facendo.

2) il coraggio di crescere: ci sono tentazioni di giocare a Peter Pan, cioè il non voler crescere per rimanere sempre adolescenti.

 


 

Fonte: Il riassunto è liberamente tratto dalla trasmissione televisiva “Gran tour” – Rai educational  1997- curata da Mino D’Amato-  il tema fu sviluppato dalla  Pedagogista Maria Grazia Contini

 

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