campo fiorito e albero con sole forte

Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se avesse trovato dei seguaci della Via, uomini e donne, li potesse condurre legati a Gerusalemme. E durante il viaggio, mentre si avvicinava a Damasco, avvenne che, all'improvviso, sfolgorò intorno a lui una luce dal cielo e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ti è duro recalcitrare contro il pungolo. (Atti 9: 1-5)

In questa breve riflessione vi parlerò di ciò che penso riguardo all’apostolo Paolo e alla sua chiamata.

Il primo verso di Atti 9 esordisce con “Saulo, sempre spirante minacce…”. Bene, da queste parole già possiamo capire che Paolo era un uomo pieno di rabbia, perché le persone che minacciano in realtà hanno rabbia e rancore nel proprio cuore per disparati motivi. Nel suo caso, se guardiamo alla sua storia possiamo osservare che il suo odio per i seguaci di Gesù scaturiva dal fatto che queste persone avevano preferito andare contro la legge giudaica, se vogliamo prendere in considerazione la sua prospettiva religiosa, e quindi avevano scelto di essere nemici del sistema in cui Paolo era cresciuto e si era formato.

Dunque, Paolo prima di convertirsi minacciava “sempre”, conduceva in catene e torturava i credenti in Cristo affinché rinnegassero la loro fede. Faceva tutto secondo la legge, quindi aveva il permesso del sommo sacerdote e delle alte cariche giudaiche per adoperarsi affinché il cristianesimo si arrestasse.

Non era diverso da coloro che nel corso dei secoli hanno perseguitato i cristiani, e tutto nella storia dell’umanità si ripete (Ecclesiaste 1: 9 - Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà) cambiano solo le modalità. Le persecuzioni ci sono sempre state, forse anche Abele veniva perseguitato da Caino per gelosia, essendo Abele gradito a Dio perché offriva le primizie del suo lavoro con amore e non perché fosse solo un atto dovuto.

Tornando a Paolo, mi sono sempre chiesta come sopportasse il peso di tutti quegli errori che aveva commesso fino al momento in cui il Signore Gesù si manifestò sulla via di Damasco. Penso che in realtà tutte le sofferenze che aveva inflitto ai cristiani pesassero gravemente sulla sua coscienza, ma l’orgoglio aveva sempre prevalso allontanandolo dal ravvedimento. Lo Spirito Santo gli aveva sicuramente parlato molte volte ma lui aveva finto di non sentire, oppure come forse la maggior parte di noi ha fatto in passato, metteva a zittire quel richiamo continuando la sua vita come se niente fosse. Quando una persona si arrende a Cristo, improvvisamente apre gli occhi e inizia a provare un sentimento di pentimento. Parlo di chi sperimenta per la prima volta la conversione. Ci sarà prima una presa di coscienza di tutto il peccato commesso e in seguito un rendimento di grazie per aver ottenuto la salvezza. Ovviamente non succede a tutti allo stesso modo, ma quando iniziamo a riflettere sui nostri errori potrebbe accadere di dover affrontare comunque delle conseguenze terrene. Adesso pensiamo a Paolo: aveva commesso molti delitti, tra le altre cose. Quando il Signore gli apparve e si convertì, secondo voi cosa aveva provato pensando a tutte le persone che erano morte a causa sua?

Certa è quest'affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. (1 Timoteo 1:15)

Penso che persino in questa lettera scritta a Timoteo, dicendo di sentirsi il primo dei peccatori, riecheggiasse nel suo intimo la sofferenza per quelle vite che aveva spezzato ingiustamente in passato. Dopo la sua conversione molti fratelli diffidavano di lui, non accettavano che una persona del genere fosse capitolata di fronte all’immenso amore che il Signore Gesù aveva mostrato in croce. Paolo era ben consapevole di avere una cattiva fama ma nonostante questo accettò la chiamata, si umiliò e divenne l’apostolo delle genti.

Quando il Signore si manifestò disse: “Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ti è duro recalcitrare contro il pungolo”. Vorrei soffermarmi non tanto sulla seconda parte del verso quanto sulla prima. Quando affrontiamo le diverse prove della vita ci sono momenti in cui, presi dallo scoraggiamento, pensiamo che al Signore poco importi se veniamo vituperati per amore suo. A volte siamo anche costretti a sottostare a delle umiliazioni in ambito familiare senza poter esprimere completamente un nostro pensiero. A volte veniamo bollati come saccenti, oppure capita che un nostro fratello o genitore ci tratti da estranei quando cerchiamo di dare consigli cristiani utili. Beh, voglio dirvi cari fratelli e sorelle in Cristo, che Gesù soffre con noi quando subiamo determinate umiliazioni e ci dona la sua pace per affrontarle.

La sofferenza a volte è necessaria per la nostra formazione cristiana: “Perciocchè il Signore castiga chi egli ama, e flagella ogni figliuolo ch'egli gradisce”. (Ebrei 12:6 – Diodati)

A Dio sia la gloria, adesso e per sempre!

V.D.S.

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